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Fino a non molti anni fa sembrava un tabù chiamarlo con il suo nome. Si usavano espressioni come "brutto male", nelle conversazioni private, o "male incurabile", nella comunicazione dei media. Poi si è cominciato, nei libri e soprattutto in televisione e attraverso i social network, addirittura a enfatizzarlo, magari con l'aiuto di un linguaggio d'ispirazione bellico-militaresca, e a diffondere la retorica secondo cui vince chi lotta. Quando si parla di cancro emergono palesemente i paradossi della comunicazione che, in particolare nell'ambito della sanità, possono creare confusione e addirittura provocare danni. Il paziente oncologico non viene infatti aiutato nel sentire che il nome della sua malattia è citato come epitome del male. E nemmeno lo è se viene investito del ruolo del guerriero e così della responsabilità della propria guarigione.